Leone Ginzburg
(1909-1944)
Leone Ginzburg nasce
a Odessa
nel 1909 nella famiglia ebrea di Fëdor
Nikolaevič e Vera Griliches. Con loro
vive dal 1902 anche l’italiana Maria
Segré: insegnante di francese, è sorella
del padre naturale di Leone, Renzo, con
il quale Vera ha avuto una relazione a
Viareggio, dove i Ginzburg sono soliti
trascorrere le vacanze estive. Allo
scoppio della Grande guerra, la madre
torna a Odessa con i figli maggiori,
mentre Leone vive fino al ‘19 tra Roma e
Viareggio, affidato alle cure di Maria,
quasi una seconda madre. I Ginzburg, che
pure hanno inizialmente sostenuto la
Rivoluzione, nel ‘20 lasciano la Russia
per Torino e poi Berlino (il padre vi ha
avviato un’attività di import-export):
qui Leone riapprende la lingua materna e
frequenta la scuola russa. Quando coi
famigliari rientra a Torino, viene
iscritto al liceo D'Azeglio, sezione A:
è in classe con Giorgio Agosti e
Norberto Bobbio, ha come insegnanti gli
antifascisti Zino Zini e Umberto Cosmo;
nella B insegna Augusto Monti,
intellettuale gobettiano, con cui il
giovanissimo Ginzburg collabora nella
gestione della biblioteca. Lettore
onnivoro e poliglotta (russo, italiano,
francese), frequentatore di teatri e
concerti, si segnala per cultura e
intransigenza etica, non disgiunte dal
piacere delle compagnie, anche
femminili. Così ricorda Bobbio: «La
nostra classe, o per lo meno alcuni di
noi, avevano acquistato una speciale
sensibilità... per la presenza di un
giovane precocissimo, che aveva, a
quindici anni, quando entrò al
D'Azeglio, tal vastità di cultura, tal
maturità di giudizio e tal altezza di
coscienza morale da suscitar meraviglia
nei professori – e uno di quei
professori [Monti]
lo ha chiamato discepolo-maestro – e
schietta ammirazione, senza invidia, nei
compagni: parlo di Leone Ginzburg».
Delle due passioni di una
vita intensa terminata prima dei 35
anni, «pensare i libri» e «far
la politica», la prima è davvero
precoce. Nel 1927, l’anno della
Maturità, termina la traduzione del
Taras Bul’ba
di Gogol’ e
avvia quelle di Anna
Karenina e
Sonata a Kreutzer di Tolstoj, cui
seguono Nido di
nobili di Turgenev e
La donna di picche
di Puškin. L’attenzione alla traduzione
«come scelta di lingua, di
accuratezza nella versione del testo, di
innesto vero e proprio di culture
diverse in quella italiana» (L.
Mangoni) è in lui anche prosecuzione
dell’europeismo gobettiano. Scrive
diciannovenne nel 1928: «La nostra
cultura è europea e dipende più che
dalle contingenze interne e variabili
dei popoli, dal comune clima
intellettuale in cui vivono
involontariamente i creatori, i poeti»,
russi inclusi. Inizialmente iscritto
a Giurisprudenza, si laurea in Lettere
nel ‘31 con una tesi su Maupassant: ne
segue una borsa di studio con cui nel
‘32 si reca a Parigi. Frequenta
l'ambiente dei fuorusciti, conosce Carlo
Rosselli e Salvemini, incontra l’amato
Croce: all’“intransigenza culturale”,
decide di affiancare quella politica.
Tornato a Torino entra nel movimento
antifascista di Giustizia e Libertà e
collabora ai suoi
Quaderni,
firmando con la sigla M.S., in omaggio
alla Segré: il «far la politica» segna
ormai radicalmente la sua vita.
Cittadino italiano nel
‘31, come desiderava, alla fine del ‘32
ottiene la libera docenza in letteratura
russa e tiene un corso su Puškin. Quando
il regime chiede il giuramento di
fedeltà anche ai liberi docenti,
rifiuta, rinunciando subito e
definitivamente a un’attività accademica
che pur gli si prospettava brillante.
Alla fine del ‘33 condivide con Giulio
Einaudi, figlio del senatore Luigi, la
decisione di registrare il marchio dello
Struzzo, mentre insegna alle Magistrali.
Ma nel 1934 è arrestato con altri e
condannato dal Tribunale speciale.
Sconta due anni nel carcere di
Civitavecchia, dove tra l’altro rivede
per Treves una traduzione della
Storia della rivoluzione russa
di Trockij, su cui già aveva scritto
Trockij storico
della rivoluzione. Al ritorno a
Torino Einaudi gli offre uno stipendio
di 600 lire mensili: sposa Natalia Levi
(dal matrimonio nasceranno Carlo, Andrea
e poi Alessandra), che così nel 1988
ricostruisce quegli anni: «La casa
editrice è stata creata e ideata da
Leone Ginzburg… Agli inizi era Leone
solo, forse un anno dopo anche a Pavese
è stato offerto uno stipendio fisso.
Eravamo in quattro: io come ospite (non
richiesto e casuale), Einaudi come
editore, Leone e Pavese. Leone sapeva
tutto sulla narrativa tedesca francese e
russa; Pavese sapeva tutto sulla
narrativa inglese e americana; e l’uno e
l’altro avevano la religione delle
traduzioni… e così è nata la collana dei
Narratori Stranieri… Uscirono poi, fra
il ‘37 e il ‘38, i primi volumi della
collana dei Saggi… e in pochi mesi
quella piccola casa editrice
squattrinata divenne famosa: e la gente
vide in essa un segno che l’Italia si
risvegliava. Recentemente Einaudi ha
detto che Leone Ginzburg era stato il
padre della casa editrice… ne è stato il
pensiero e l’anima, anche dal confino, e
per molto tempo anche dopo che era
morto».
Sia nel 1933-34 che tra
il ‘36 e il ‘40, il suo lavoro
editoriale è instancabile: dalla
progettazione delle collane alla
revisione delle traduzioni,
dall’attenzione costante per gli aspetti
grafici e tipografici alla cura degli
autori (un esempio fra i tanti, la
corrispondenza con Montale per la
pubblicazione delle
Occasioni nel
1938-39. Il poeta, incerto lui stesso
tra due varianti di un verso, si rimette
a Ginzburg per la decisione: «scegli te»
gli scrive). Dal 1940, all'entrata in
guerra dell'Italia, è confinato a
Pizzoli (L'Aquila), dove lo raggiungono
la moglie e i due figli. Rivede la sua
traduzione di Guerra
e pace, scrive prefazioni per la
già tradotta Sonata
a Kreutzer, per
La figlia del capitano di Puškin e
diversi romanzi di Dostoevskij (Il
giocatore,
L'idiota,
Memorie del sottosuolo,
I demoni).
Attraverso cartoline postali in cui, per
superare la censura, si finge un comune
lettore, polemizza con Einaudi quando
gli sembra che per la fretta si trascuri
la qualità editoriale di un libro.
Caduto il Fascismo, il 26
luglio 1943 Ginzburg lascia Pizzoli e
riprende contatto a Roma con il Partito
d'Azione, erede di Giustizia e Libertà.
Il 27 agosto è a Milano per una riunione
con Colorni e Spinelli: all’ordine del
giorno, gli Stati Uniti d'Europa.
Partecipa a Firenze al congresso
clandestino del partito, presenti Parri,
Lussu, Lombardi, Bauer ed Enriques-Agnoletti,
che gli affidano, dopo l'8 settembre, la
direzione del giornale clandestino
Italia libera,
nella cui redazione è arrestato e
condotto a Regina Coeli il 20 novembre.
Trasferito al braccio controllato dai
Tedeschi, è torturato. Sandro Pertini,
detenuto con lui, ricorda di avergli
sentito dire, sanguinante: «Guai a noi
se domani…nella nostra condanna
investiremo tutto il popolo tedesco.
Dobbiamo distinguere tra popolo e
nazisti». Il 4 febbraio sta molto male e
scrive un'ultima lettera a Natalia, che
si può leggere in Lettere di
condannati a morte della Resistenza
italiana. La mattina del 5 febbraio
è trovato morto.