KARL MARX (1818-1883)
Karl Marx nasce nel 1818 a
Treviri in una famiglia di borghesia
ebraica assimilata. Dopo il Liceo studia
Diritto e Filosofia a Bonn e a Berlino,
dove si laurea con una tesi sulla
Differenza tra la Filosofia della Natura
di Democrito e di Epicuro. È il
1841: la pubblicazione dell’Essenza
del Cristianesimo infiamma i
“giovani hegeliani” e fa di Feuerbach il
fratello maggiore ideale per tentare il
“parricidio” di Hegel, “padrone” della
filosofia tedesca. Per Marx inizia
presto (e durerà tutta la vita) il
serrato corpo-a-corpo teorico con
l’autore della Fenomenologia dello
Spirito: ventenne, già vantava di
averlo letto «da cima a fondo». In
effetti è uno straordinario lettore:
conosce i classici greci e latini,
Goethe, Schiller e il romanzo francese;
impara l’inglese sull’amato Shakespeare,
legge Dickens e Thackeray; cita Dante e
Machiavelli in italiano, in spagnolo
leggerà Cervantes e Calderón (ormai
vecchio, Puskin, Gogol’, Turgenev in
russo). S’innamora di Jenny von
Westphalen («la più bella ragazza di
Treviri»), che gli sarà compagna per
tutta la vita, affrontando per l’amato
“Moro” (il soprannome di Marx in
famiglia) anni di miseria: tre dei loro
sei figli muoiono prematuramente. Nel
‘44 inizia a Parigi il lungo sodalizio
con Friedrich Engels (1820-95, il padre
è un commerciante tedesco e proprietario
di fabbrica a Manchester). Insieme
scoprono che «l’anatomia di ciò che
Hegel chiamava società civile è
l’economia politica»: dai Manoscritti
economico-filosofici del ‘44, la
critica dell’economia politica è il
filo conduttore della ricerca marxiana.
Redattore della “Gazzetta renana” (poi
direttore della “Nuova Gazzetta renana”
nel ‘48-49). Marx incontra il socialismo
utopistico nei libri e tra i lavoratori
francesi. «La fraternità umana non è una
frase, ma la verità presso di loro»: al
proletariato, vittima dell’«ingiustizia
universale», tocca il compito
dell’emancipazione universale,
dell’«emancipazione dell’umanità». Nel
1845 Engels documenta nella
Situazione della classe operaia in
Inghilterra le condizioni di lavoro
e di vita nelle città industriali:
emergono alienazione e abbrutimento (su
cui tornerà Simone Weil in La
condizione operaia quasi un secolo
dopo). Intanto nell’Ideologia tedesca
prende forma la concezione
materialistica della Storia come
contraddittorio alternarsi di modi di
produzione, cioè di modalità nelle quali
gli uomini «nella produzione materiale
della loro esistenza, entrano tra loro
in rapporti determinati, necessari,
indipendenti dalla loro volontà». La
tensione etico-utopica lascia spazio
alla vocazione scientifica, matura il
passaggio del socialismo “dall’utopia
alla scienza”, poi enfatizzato dal
marxismo positivista in Germania e in
Russia (proveranno a opporvisi marxisti
come Lukács, Korsch, Gramsci). In un
brillante e astioso pamphlet contro
Proudhon (Miseria della filosofia,
1847), Marx sceglie la Rivoluzione
contro ogni riformismo: la Lega dei
Giusti diventa Lega dei Comunisti e al
motto «Tutti gli uomini sono fratelli»
si sostituisce «Proletari di tutti i
Paesi unitevi». Esce nel ‘48 in quattro
lingue, alla vigilia dell’insurrezione
parigina di febbraio, il Manifesto
dei Comunisti. Profeticamente vi si
prospetta l’«autogoverno dei
produttori», in cui «la libertà di
ciascuno è condizione della libertà di
tutti»: il proletariato «liberando se
stesso libera tutta l’umanità».
All’indomani del Quarantotto (su cui
scrive pagine memorabili), Marx si
trasferisce per sempre a Londra. Qui
studia per vent’anni gli economisti
classici (Smith, Ricardo) e la
produzione industriale. Scopre le leggi
di valorizzazione del capitale, con il
determinante contributo di Engels, che
gli fornisce preziosi dati
tecnico-produttivi, oltre a concreto
aiuto economico (unica entrata di Marx è
la collaborazione al “New York Daily
Tribune”). Protagonista della I
Internazionale dei lavoratori (1864-76),
per cui redige i principali documenti
teorico-politici, nel ‘67 pubblica il I
libro del Capitale. Critica
dell’economia politica (il II e il
III sono pubblicati postumi da Engels).
«Il mondo è un’immane distesa di merci»,
recita l’incipit di
impressionante attualità del capolavoro
marxiano, la produzione delle quali
maschera la riduzione delle relazioni
umane a rapporti tra cose o funzioni.
«Il farsi-mondo delle merci è il
divenir-merce del mondo», chioserà
cent’anni dopo Guy Debord, uno dei più
acuti tra i suoi interpreti
novecenteschi.
In tempi di rivoluzione digitale non
sembri bizzarro riproporre il vecchio
Marx: ha individuato nell’impersonale
valorizzazione del capitale travestita
in incessante produzione di merci
(finanche immateriali) il moderno
Leviatano, il deus ex machina del
presente in cui viviamo, entro la
mondializzazione di rapporti
“video-mediati”. E se è vero che i
tentativi di inverarne la proposta
comunista (a partire dall’Ottobre
sovietico) sono tragicamente falliti, il
suo progetto di superare la separazione
tra lavoro intellettuale e manuale,
ideativo ed esecutivo – così traendo «da
ciascuno secondo le sue capacità» per
restituire «a ciascuno secondo i suoi
bisogni» – mantiene piena validità.
Forse non è a Marx che si deve guardare
oggi per cambiare il mondo, che
inesorabilmente si trasforma da sé: ma
per ricominciare a capirlo sì.
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