Beppe Fenoglio nasce
nel 1922 ad Alba, dove vive fino alla prematura morte nel 1963.
Il padre, di origine contadina, gestisce la macelleria in centro
dove aveva iniziato come garzone. Con lo studio già al ginnasio
della lingua inglese, nasce presto in Fenoglio la passione per
la civiltà e la letteratura anglosassone, in cui va scoprendo un
rigore e una moralità alternativi all’ideologia e propaganda
fascista. Da ragazzo sogna di essere un soldato del New model
army di Cromwell, «con la Bibbia nello zaino e il fucile a
tracolla». Al liceo l’incontro con due “maestri di
antifascismo”: il professore di italiano Leonardo Cocito
(impiccato dai tedeschi il 7 settembre del ‘44); quello di
storia e filosofia Pietro Chiodi (della cui esperienza
partigiana è testimonianza esemplare Banditi, 1961).
Iscritto alla Facoltà di Lettere a Torino, nel gennaio del ‘43 è
chiamato alle armi come allievo ufficiale. Dopo l’8 settembre
riesce a rientrare ad Alba, dove già in dicembre partecipa
all’assalto della caserma dei carabinieri per liberare i padri
dei renitenti alla leva fascista. Inizia per Fenoglio, prima in
una brigata garibaldina e poi con le formazioni autonome,
l’esperienza decisiva della sua vita, la guerra partigiana. Dopo
la Liberazione rinuncia agli studi e alla laurea, che, anche
quale ex combattente, conseguirebbe con facilità. Alla madre che
comprensibilmente lo assilla risponde che la sua laurea sarà il
primo libro pubblicato. Dal ‘47 lavora come corrispondente con
l’estero in un’azienda vinicola di Alba (conosce bene inglese e
francese), modesto impiego che mantiene fino alla morte e che
tra l’altro gli lascia molto tempo per scrivere. Si sposa nel
1960 col solo rito civile, scelta scandalosa allora nel suo milieu.
E sul letto di morte dispone che laiche siano anche le esequie:
«Funerale civile, di ultimo grado, domenica mattina, senza
soste, fiori e discorsi».
«Scrittore e partigiano» vorrebbe scritto sulla sua lapide.
«Partigiano in aeternum» si autobattezza il suo Johnny,
nell’omonimo romanzo pubblicato postumo nel 1968. La guerra
partigiana è il tema costante e privilegiato, quasi esclusivo,
della narrativa di Fenoglio, e le dispute di critici e filologi
sulla sperimentazione linguistica nell’incompiuto Partigiano
Johnny non dovrebbero offuscare la peculiare riuscita – per
concentrazione emotiva e stilistica, scatto e misura narrativa –
dei Ventitré giorni della città di Alba (1952) e di Una
questione privata (1963). Nella pur vastissima letteratura
sulla Resistenza, i suoi libri si impongono sopra tutti (con
pochi altri, I piccoli maestri di Meneghello, edito nel
‘64, tra questi): la loro qualità trascende il giudizio estetico
e investe la sfera della storia e della morale collettiva.
La sua Resistenza, priva di ogni accento celebrativo, vorrebbe
rifondare l’Italia su valori di verità libertà giustizia, con
connotati prima etici che politici. La guerra partigiana – «pro
aris et focis», cioè combattuta in casa propria, a difesa del
focolare e dei pochi beni – intreccia inscindibilmente
Resistenza e civiltà contadina, l’altro grande tema di Fenoglio,
argomento del romanzo breve La malora (1954) e di
numerosi racconti. Le sue Langhe, più che scenario o sfondo,
sono protagoniste di una guerra in cui i contadini sono
inevitabilmente coinvolti, con la partecipazione attiva, l’aiuto
ai partigiani, i rischi di rappresaglie che consapevolmente
corrono, la miseria che dividono con i combattenti. Ai due temi
della guerriglia e del mondo contadino, si aggiunge in Una
questione privata quello dell’amore “romantico” di Milton
per Fulvia. Ma l’immissione del motivo “privato” non attenua,
non sfuoca il tema fondamentale: destino individuale e sorte
collettiva si incrociano e si scontrano a ogni pagina, alla
ricerca di una verità che va al di là della “questione privata”.
Sapere la verità, per vivere – e morire – nella verità.
Ha scritto Italo Calvino nella Prefazione del 1964 al
suo Sentiero dei nidi di ragno, uscito in prima edizione
nel ‘47:
«E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che
tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe
Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una
questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel
pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione
voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e
un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una
stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente
esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una
questione privata.
Una questione privata è costruito con la geometrica
tensione d’un romanzo di follia amorosa e cavallereschi
inseguimenti come l’Orlando furioso, e nello stesso tempo
c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera
come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente
dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più
forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un
libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive,
ed è un libro di parole precise e vere. (…) È al libro di
Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio».
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