la tessera 2013 dedicata a Beppe Fenoglio

 

 


 

Beppe Fenoglio nasce nel 1922 ad Alba, dove vive fino alla prematura morte nel 1963. Il padre, di origine contadina, gestisce la macelleria in centro dove aveva iniziato come garzone. Con lo studio già al ginnasio della lingua inglese, nasce presto in Fenoglio la passione per la civiltà e la letteratura anglosassone, in cui va scoprendo un rigore e una moralità alternativi all’ideologia e propaganda fascista. Da ragazzo sogna di essere un soldato del New model army di Cromwell, «con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla». Al liceo l’incontro con due “maestri di antifascismo”: il professore di italiano Leonardo Cocito (impiccato dai tedeschi il 7 settembre del ‘44); quello di storia e filosofia Pietro Chiodi (della cui esperienza partigiana è testimonianza esemplare Banditi, 1961). Iscritto alla Facoltà di Lettere a Torino, nel gennaio del ‘43 è chiamato alle armi come allievo ufficiale. Dopo l’8 settembre riesce a rientrare ad Alba, dove già in dicembre partecipa all’assalto della caserma dei carabinieri per liberare i padri dei renitenti alla leva fascista. Inizia per Fenoglio, prima in una brigata garibaldina e poi con le formazioni autonome, l’esperienza decisiva della sua vita, la guerra partigiana. Dopo la Liberazione rinuncia agli studi e alla laurea, che, anche quale ex combattente, conseguirebbe con facilità. Alla madre che comprensibilmente lo assilla risponde che la sua laurea sarà il primo libro pubblicato. Dal ‘47 lavora come corrispondente con l’estero in un’azienda vinicola di Alba (conosce bene inglese e francese), modesto impiego che mantiene fino alla morte e che tra l’altro gli lascia molto tempo per scrivere. Si sposa nel 1960 col solo rito civile, scelta scandalosa allora nel suo milieu. E sul letto di morte dispone che laiche siano anche le esequie: «Funerale civile, di ultimo grado, domenica mattina, senza soste, fiori e discorsi».

«Scrittore e partigiano» vorrebbe scritto sulla sua lapide. «Partigiano in aeternum» si autobattezza il suo Johnny, nell’omonimo romanzo pubblicato postumo nel 1968. La guerra partigiana è il tema costante e privilegiato, quasi esclusivo, della narrativa di Fenoglio, e le dispute di critici e filologi sulla sperimentazione linguistica nell’incompiuto Partigiano Johnny non dovrebbero offuscare la peculiare riuscita – per concentrazione emotiva e stilistica, scatto e misura narrativa – dei Ventitré giorni della città di Alba (1952) e di Una questione privata (1963). Nella pur vastissima letteratura sulla Resistenza, i suoi libri si impongono sopra tutti (con pochi altri, I piccoli maestri di Meneghello, edito nel ‘64, tra questi): la loro qualità trascende il giudizio estetico e investe la sfera della storia e della morale collettiva.
La sua Resistenza, priva di ogni accento celebrativo, vorrebbe rifondare l’Italia su valori di verità libertà giustizia, con connotati prima etici che politici. La guerra partigiana – «pro aris et focis», cioè combattuta in casa propria, a difesa del focolare e dei pochi beni – intreccia inscindibilmente Resistenza e civiltà contadina, l’altro grande tema di Fenoglio, argomento del romanzo breve La malora (1954) e di numerosi racconti. Le sue Langhe, più che scenario o sfondo, sono protagoniste di una guerra in cui i contadini sono inevitabilmente coinvolti, con la partecipazione attiva, l’aiuto ai partigiani, i rischi di rappresaglie che consapevolmente corrono, la miseria che dividono con i combattenti. Ai due temi della guerriglia e del mondo contadino, si aggiunge in Una questione privata quello dell’amore “romantico” di Milton per Fulvia. Ma l’immissione del motivo “privato” non attenua, non sfuoca il tema fondamentale: destino individuale e sorte collettiva si incrociano e si scontrano a ogni pagina, alla ricerca di una verità che va al di là della “questione privata”. Sapere la verità, per vivere – e morire – nella verità.

Ha scritto Italo Calvino nella Prefazione del 1964 al suo Sentiero dei nidi di ragno, uscito in prima edizione nel ‘47:
«E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno Una questione privata.
Una questione privata è costruito con la geometrica tensione d’un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l’Orlando furioso, e nello stesso tempo c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. (…) È al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio».

 


 

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