George Orwell (1903-1950)
Eric Blair (il
futuro George Orwell) nasce nel 1903 a
Motihari, in Bengala, dove il padre Richard
è un modesto funzionario
dell’Amministrazione britannica. Dopo la
preparatory
school a St Cyprian (su cui ci
lascerà lo splendido racconto postumo
Giorni
felici), è ammesso a Eton con una
borsa di studio per alunni meritevoli, ma
nel 1922 abbandona gli studi e si arruola
nella Polizia imperiale indiana. Parte per
la Birmania e vi trascorre cinque anni, nei
quali acquisisce "sul campo" quella
"conoscenza dell’imperialismo dall’interno",
di cui troviamo gli echi nel romanzo
Giorni in Birmania e in straordinari
racconti autobiografici come Un’
impiccagione e L’ uccisione
dell’elefante.
"Quando nel 1927 tornai in patria in licenza
- scrive - ero già parzialmente deciso ad
abbandonare il mio lavoro… Sentivo di
dovermi sottrarre non soltanto
all’imperialismo, ma ad ogni forma di
dominio dell’uomo sull’uomo… In quel
periodo, il fallimento mi sembrava essere la
sola virtù. Ogni sospetto di carriera, di
"successo" nella vita anche solo nel senso
di riuscire a guadagnare qualche centinaio
di sterline l’anno, mi pareva spiritualmente
turpe… Mi rendevo conto ora che non c’era
nessun bisogno di andare fino in Birmania
per trovare la tirannide e lo sfruttamento.
Qui, in Inghilterra, sotto i tuoi piedi,
c’era la sommersa classe operaia che, in
maniera diversa, pativa sofferenze
altrettanto profonde".
Esperienza diretta e disinteresse personale:
su queste basi poggia sin dall’inizio il
socialismo morale di Orwell,
inscindibile dalla politica della
verità. Per lui l’intelligenza è
indivisibile dall’onestà, lo stile dalla
lealtà, sempre.
Il successo improvviso e mondiale della
Fattoria degli animali e di 1984,
favorito e strumentalizzato dalla Guerra
fredda, nasconde ai più, da oltre mezzo
secolo, la lunga, caparbia esperienza
dell’oppressione, dell’avvilimento, della
ribellione (non solo alla prepotenza, ma
all’ipocrisia e alla menzogna), che
accompagna l’intera vita di Orwell,
militante e scrittore. Anche libri assai
meno conosciuti come Senza un soldo a
Parigi e a Londra, La strada di
Wigan Pier, Omaggio alla Catalogna,
saggi come Nel ventre della balena,
Il leone e l’unicorno, Come
muoiono i poveri, Riflessioni su
Gandhi sono tra i migliori esempi di
letteratura politica e giornalismo sociale
del XX secolo. E fanno di Orwell, a sessant’anni
dalla morte, uno degli autori indispensabili
per capire il nostro tempo e i nostri
problemi.
Piccola antologia orwelliana
Tutte le
persone che lavorano con le mani sono
in parte invisibili e quanto più importante
è il lavoro che compiono, tanto più
invisibili diventano… Forse il minatore, più
di ogni altro, rappresenta il tipico
lavoratore manuale… così invisibile, si può
dire, che siamo capaci di dimenticarlo come
il sangue che ci scorre nelle vene… Quando
lo osservi, ti fa comprendere che è solo
perché i minatori sudano sangue che le
persone "superiori" possono restare tali.
Voi, io, il direttore del "Times Literary
Supplement", i poeti e l’Arcivescovo di
Canterbury, il Compagno X autore de Il
Marxismo per i bambini – tutti noi siamo
debitori per la relativa dignità delle
nostre esistenze a quei poveri diavoli, neri
fino alla punta dei capelli, con la gola
piena di polvere, le forti braccia che
sollevano le pale, i muscoli d’acciaio del
loro ventre. (1937)
Mentre scrivo,
individui altamente civilizzati mi volano
sulla testa, cercando di uccidermi. Essi non
mi odiano personalmente, io non li odio. Non
fanno che "compiere il loro dovere". Senza
dubbio, sono per la maggior parte persone
cortesi, rispettose della legge. Quali
privati cittadini, non si sognerebbero mai
di uccidere nessuno. D’altra parte, se uno
di essi riesce ad annientarmi con una bomba
ben centrata non avvertirà ombra di rimorso,
non avrà sonni turbati da incubi. Serve il
suo paese, che ha la facoltà di assolverlo
da ogni colpa. (1940)
All’interno l’Inghilterra continua ad essere
il paradiso dei ricchi. Le frasi sulla
"uguaglianza dei sacrifici" sono fanfaluche.
Mentre agli operai delle fabbriche si chiede
di prolungare il loro orario di lavoro, la
stampa è piena di annunci pubblicitari di
questo tipo: "Cercasi maggiordomo famiglia
persona sola, personale servizio otto"… La
signora in Rolls Royce fa più danno al
morale di una squadra di bombardieri di
Göring. (1940)
La democrazia
britannica non è poi quella truffa che
qualche volta sembra. Un osservatore
straniero nota la grande disuguaglianza
nella distribuzione della ricchezza, il
sistema elettorale disonesto, il controllo
della classe dominante sulla stampa, la
radio, l’istruzione e ne conclude che la
democrazia è semplicemente un eufemismo per
dittatura. Ma chi giunge a queste
conclusioni ignora il profondo accordo che
disgraziatamente esiste tra chi comanda e
chi ubbidisce. Per quanto rincresca
ammetterlo, è quasi sicuro che negli anni
che vanno dal 1931 al 1940, il governo
nazionale interpretò il volere delle masse.
Furono le masse ad accettare gli slum, la
disoccupazione e una politica estera
vigliacca. Fu un periodo di ristagno e i
suoi capi naturali furono, come è giusto,
delle mediocrità. (1941)
Sino alla fine dell’agosto 1939 gli
industriali inglesi facevano a pugni tra
loro per vendere alla Germania stagno,
caucciù, rame e gomma-lacca, sebbene tutti
sapessero, senza possibilità di dubbio, che
la guerra sarebbe scoppiata di lì a due o
tre settimane. Si trattava di una decisione
sensata, come sarebbe quella di vendere un
rasoio a chi voglia tagliarvi la gola. Ma
era un buon affare. (1941)
Quando
si eccettuino
pochi terreni pubblici che sono
sopravvissuti (le strade maestre, le terre
del National Trust, un certo numero di
parchi e la spiaggia sotto il livello
dell’alta marea), ogni centimetro quadrato
dell’Inghilterra è posseduto da poche
migliaia di famiglie. Sono persone utili su
per giù come i vermi solitari. (1944)
In ultima analisi il nostro maggior titolo
alla vittoria è che, se vinciamo la guerra,
ne narreremo la storia con ben minori
menzogne di quanto farebbero i nostri
avversari. La cosa veramente terrificante
dei regimi totalitari non sono le atrocità
che commettono, ma la loro ostilità verso la
verità obiettiva. Infatti vorrebbero
controllare il passato non meno del futuro.
(1944)
Questo è ciò
che si deve ricordare per vedere la guerra
spagnola nella sua vera prospettiva. Quando
si pensa alla crudeltà, allo squallore e
alla futilità della guerra – e in questo
caso agli intrighi, alle persecuzioni, alle
menzogne e alle incomprensioni – si avverte
sempre la tentazione di dire: "Uno vale
l’altro ed io resto neutrale". Ma in pratica
non si può restare neutrali e non esiste una
guerra dove non abbia importanza la parte
che vince. Quasi sempre una parte sta, più o
meno, per il progresso, l’altra, più o meno,
per la reazione. L’odio che la Repubblica
spagnola destò in milionari, duchi,
cardinali, gente del bel mondo, militari, e
chi più ne ha più ne metta, basterebbe da
solo a mostrare chi aveva ragione. In fondo
era una lotta di classe. Se la Repubblica
avesse vinto, il partito della povera gente
si sarebbe rinforzato in tutto il mondo.
Invece perse e i capitalisti di tutto il
mondo si fregarono le mani. Quello era il
vero nodo. Tutto il resto non era che fumo.
(1944)
Credo che,
conservando il proprio amore infantile per
alberi, pesci, farfalle e… rospi, ci si
prepari meglio un pacifico e onesto futuro,
mentre invece sostenendo che nulla deve
essere ammirato, tranne l’acciaio e il
cemento armato, si renda più probabile una
situazione in cui gli esseri umani non
avranno altro sfogo per le loro superflue
energie se non l’odio e l’adorazione di un
qualche duce. (1946)
Lasciando
aperta
la nostra mente alla valanga di frasi
fatte, esse ci costruiranno da sole i
periodi – penseranno i nostri pensieri, in
una certa misura – e al momento opportuno ci
renderanno il prezioso servizio di occultare
anche a noi stessi il significato di ciò che
diciamo e scriviamo. È a questo punto che
diventa chiaro il legame tra la politica e
la degradazione della lingua… Quando esiste
un divario tra i propri fini dichiarati e
quelli reali, ci si rivolge ai paroloni e
alle lingue morte, come le seppie che
spruzzano inchiostro… Quel che è soprattutto
necessario è che sia il significato a
scegliere la parola, e non il contrario.
Nello scrivere, la peggior cosa che si possa
fare con le parole è arrendersi ad esse.
(1946)
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