PAOLO BELIZZI 1906-1986 (un ricordo di Raoul Schenardi)
Caro Gianni, nell’impossibilità di essere presente fisicamente, e stimolato dal messaggio di Claudio su Daniela Cremona, ti mando questo ricordo della luminosa figura di Paolo Belizzi. Per illustrare le circostanze in cui l’ho conosciuto devo fare riferimento alla storia della mia famiglia, ma non mi allontanerò dal tema, la storia della Resistenza in provincia di Piacenza. Qualcuno ricorderà ancora la vecchia sede del circolo Raoul Boeri in via Confalonieri, poi trasferitosi in via san Vincenzo. Raoul Boeri, partigiano ucciso a diciassette anni durante un rastrellamento fascista nella zona di Morfasso, era il fratello più giovane di mia madre, che nella sede del circolo lavorò come impiegata per parecchi anni, fino alla mia nascita nel 1952. Sua sorella e il marito gestivano il bar che funzionava all’interno del dopolavoro, e fu lì che conobbero Paolo Belizzi, che negli anni dell’immediato dopoguerra, grazie alla sua limpida militanza nelle file antifasciste e al ruolo di rilievo svolto nella Resistenza nel piacentino, era un punto di riferimento e prendeva spesso la parola nelle assemblee e nelle riunioni che lì si tenevano. Apro una breve parentesi sul nome Raoul, di cui vado orgoglioso e che ho sempre cercato di portare con onore. Non è un nome comune dalle nostre parti, tantomeno a quei tempi, quando non faceva ancora pensare a cantanti o attori famosi, e fu scelto da uno zio materno in circostanze piuttosto drammatiche. Quando nacque Raoul, infatti, lo zio Antonio scontava una condanna di vent’anni di carcere a Gaeta per insubordinazione militare. L’episodio: una tradotta militare lo stava portando in Grecia, allora come oggi preda dell’espansionismo e della barbarie tedesca. La tradotta si fermò alla stazione di Piacenza, dove rimase diverse ore, i soldati in fila sulla banchina sotto il sole. In città si era sparsa la voce, e parenti e amici dei piacentini si erano radunati ai cancelli. Lo zio Antonio chiese il permesso all’ufficiale di andare a salutare i genitori e la fidanzata, che poi sarebbe diventata sua moglie, ma gli fu negato. Dopo averci pensato su un po’, ribadì la sua richiesta, e dopo il nuovo rifiuto gli tirò un cazzotto e lo lasciò lungo disteso. Risultato: 20 anni di galera (ne scontò nove prima di essere liberato in seguito a un’amnistia). Per mantenere un legame con la famiglia gli fu chiesto di scegliere il nome del nascituro. Il nome Raoul saltò fuori da un libro presente nella biblioteca del carcere di Gaeta: era il nome di un capo dei Galli che combatté eroicamente contro l’invasione romana: una scelta potremmo dire antimperialista… Del resto, si sa, un nome un destino. Fu dunque nella sede del circolo Raoul Boeri che i miei conobbero Paolo Belizzi, che ammiravano e al quale erano affezionati per la dirittura delle sue posizioni morali e politiche, per la modestia e la semplicità e l’attaccamento a una visione della lotta antifascista e della resistenza che, come sappiamo, lo portò ad allontanarsi progressivamente dalle posizioni del Pci. Così, quando verso la metà degli anni Settanta nacque il Comitato Antifascista Militante, ci sembrò del tutto logica e naturale la scelta di invitarlo a diventarne il presidente. E lui ebbe la generosità di accettare. Ebbe la lucidità politica e il coraggio di sostenere quella che riteneva in quegli anni una decisione giusta e opportuna, senza troppi riguardi per i suoi ex compagni di lotta approdati a posizioni assai meno intransigenti nella lotta al fascismo. E la sua adesione, grazie alla credibilità di cui godeva, ebbe un significato più che simbolico – il legame fra generazioni diverse e la continuità della lotta per la libertà: ci portò le simpatie di molti e diede prestigio a tante nostre iniziative. Voglio concludere con un ricordo personale. Sappiamo che Paolo era un abilissimo falegname. Mia madre, quando io avevo 18-20 anni, ormai rassegnata all’idea di avere in casa un topo da biblioteca, andò da Paolo a commissionargli una libreria. Ce l’ho ancora qui di fianco a me. In noce, con tre ante e tre cassetti alla base. Ha resistito a vari traslochi e agli insulti del tempo e ha raccolto unanimi e calorosi apprezzamenti da parte di un mucchio di persone. Magnifica. Quando venne a consegnarcela a casa, finse di aver dimenticato di portare le chiavi delle ante e dei cassetti e mi invitò a passare da lui in falegnameria a prenderle. In realtà, non voleva che fosse presente mia madre, e quando restammo a quattr’occhi mi spiegò che nella cornice superiore aveva ricavato un doppio fondo, dove poter nascondere documenti, cose, non si sa mai… a dire il vero, occhio e croce ci starebbe anche un mitra… Raoul Schenardi
DANIELA CREMONA 1955-2012 (un ricordo di Claudio Taccia)
Cavolo... che dire di Daniela Cremona... quando salii per la prima volta le strette scale della sede dei Collettivi del movimento studentesco in via Borghetto 125 all’età di 16 anni, lei c’era già... carina… magrolina.. per niente appariscente.. E che io ricordi... da li in poi… ci sarebbe stata sempre, lungo tutto il periodo della mia militanza politica. Di molti compagni si sentiva parlare ... altri comparivano solo nelle manifestazioni.... ma se dovevi battere un volantino.. organizzare un "tacchinaggio"… pianificare un corteo... Daniela era già li, o sarebbe arrivata da li a poco con la sua 500...Già, la sua 500, com'era preziosa in quegli anni in cui nessuno di noi aveva un’auto... per me, ancora adolescente, quella si che era un simbolo del socialismo... la potevano usare tutti… non importava se la colla per i manifesti imbrattava i sedili… non l’ho mai sentita lamentarsi. Daniela faceva già l’università quando io ero ancora alle superiori... e faceva politica da chissà quanto... all’inizio, avevo una sorta di timidezza da pivello nei suoi confronti, congiunta al fatto che per di più era una ragazza.... Nella mia scuola, l’ITIS, stavo cominciando a prendere le prime iniziative di lotta. Un pomeriggio, uscito da scuola, avevo in mente il testo di un volantino contro l’autoritarismo del preside... Mentre camminavo verso la sede di via Borghetto ci pensavo e ripensavo... sarebbe stato il mio primo volantino: ma... come realizzarlo? e poi, sarebbe stato in linea con la politica dei Collettivi?... sarebbe piaciuto agli studenti? chi l’avrebbe scritto a macchina e ciclostilato?.... io non ne ero certo capace.... Giunto alla sede c’era, come al solito, un gran daffare...il ciclostile che andava a mille su qualche tema di politica nazionale.. compagni che discutevano animatamente attorno al tavolo con quel grosso posacenere al centro pieno di mozziconi… qualcun altro che scriveva manifesti con grossi pennarelli colorati e... ahimè... Daniela che batteva a macchina un sacco di roba. Aiutai come potevo, ma in mente avevo solo una cosa: il volantino contro il preside, decisamente secondario rispetto alle repressioni di Cossiga. Si fece tardi, probabilmente oltre l’ora di cena... molti erano andati, quelli rimasti erano visibilmente stanchi. Daniela, anche lei stanchissima, si accese un’altra sigaretta continuando a ticchettare sulla macchina da scrivere. Ad un certo punto finí. Eravamo rimasti solo io e lei, anche i "capi” se ne erano andati non so dove... le parlai del volantino e dei concetti che volevo esprimere… non avevo un testo scritto... lei mi disse... dài, dettamelo… te lo batto io... Cavolo, pensai… ma sapevo che non avevo tempo per pensare... era un super privilegio da prendere al volo. Daniela tutta per me. Ero emozionato e un po’ intimidito dal suo giudizio sulle mie idee, ma lei batteva ciò che dettavo. Mi mise a mio agio, senza convenevoli, ma usando semplicemente un ticchettio tranquillo sui tasti. Ogni tanto correggeva la costruzione grammaticale di una frase, ma nessun disappunto sul contenuto… tutto liscio fino alla fine che era rigorosamente, come al solito, "ciclostilato in proprio, via Borghetto 125"... Mi sorrise... mi sentivo alto circa due metri e mezzo... ero felice... mi sentivo potente… mi sembrava che finalmente era uscito un urlo dalla mia testa. Cavolo, pensai... lo leggeranno centinaia di studenti... No, questa volta non era il mio ego ad esultare: ero entrato a far parte attiva di un movimento politico... il mio pensiero era in sintonia con quello dei miei compagni!!! .. lottavamo per le stesse cose!!! ... nel sorriso di Daniela capii tutto questo..... Altro che "mutina", come a volte veniva chiamata perché parlava poco... altro che "angelo del ciclostile", come alcune femministe definiranno anni dopo in senso dispregiativo le compagne che facevano nelle sedi tanto lavoro pratico... Per me Daniela era una leader politica.. e poi un’amica... e poi c 'era... c’era sempre… cazzo se c' era!!!
P.S. "SE VUOI TROVARE CIÓ CHE CERCHI, METTI A POSTO CIO CHE USI": questa era una massima di Daniela scritta sulla parete di via Borghetto: ne ho fatto un’abitudine della mia vita.
Claudio Taccia
|
|